XXXII T.O. 8.11.’15

ORIZZONTI NUOVI DI VITA. NON DALLA RICCHEZZA MA DALLA VIRTU' NASCE LA BELLEZZA

orizzonti1dal vangelo di Marco (12, 38-44)
Gesù diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Non dalla ricchezza ma dalla virtù nasce la bellezza

Sono parole di Seneca, filosofo tra il I sec aC e il I sec dC, che insegna ad orientare l’uomo verso uno stile di autentica umanità: ogni uomo è vero nel momento in cui mostra e mette a disposizione la sua virtù. Questo lo renderà bello davanti agli occhi degli altri, ammirabile e perciò apprezzabile; uomo da lodare e da cui trarre un buon insegnamento. In ogni uomo vi è la possibilità di rendere manifeste quelle virtù che non solo mostrano chi sia anche interrogano gli altri e invitano ad un confronto. In fondo essere una soceitas di persone significa vivere rapporti, relazioni, scambi tra parole e gesti che dicono la bellezza di un vivere insieme. E così l’umanità fa piacere la sua stessa esistenza: pensiamo quante volte ci siamo interrogati dopo aver incontrato o conosciuto altre persone che con la loro vita hanno raccontato – o raccontano ancora – che ci sono virtù buone da cui trarre spunti per la propria vita.

Gesù condanna l’inganno e la menzogna

Certo è che conosciamo anche storia da cui non trarre esempi, da cui non lasciarsi nemmeno coinvolgere, persone da cui stare lontano non tanto per la loro cattiveria, quanto per il loro inganno e la loro menzogna. Ma noi sappiamo bene che il bene e il male che facciamo si vedono e producono un’eco che non controlliamo più. Per questo Gesù è lì, un po’ distante ma «seduto di fronte al tesoro», e guarda: sì, perché l’inganno e la verità si vedono, si mostrano davanti agli occhi di ciascuno perché il bene e il male prendono sempre forma nei nostri gesti e nelle nostre parole. Ed è per questo che «osservava come la folla vi gettava monete»: quale culto/sacrificio (secondo la logica religiosa di allora) si deve a Dio? Il superfluo? L’avanzo? L’inutile? Quel gesto di «gettare monete» nel tesoro rivela quale rapporto l’uomo ha costruito con Dio: la condanna di Gesù non è alla ricchezza, ma alla disonestà del cuore. Apparire e ingannare sono denunciate da Gesù come disonestà del cuore da cui non trarre alcun insegnamento se non una condanna «guardatevi». E il confronto tra un gesto ostentato ed uno semplice, essenziale, vitale, è davanti agli occhi di tutti: una donna, povera e vedova, «ha gettato tutto quanto aveva per vivere» (hólon tòn bíon autês: tutta la sua vita). Non il di più, ma l’essenziale per vivere.

Uscire dall’immagine per essere semplici ed essenziali

Resta, dunque, il confronto tra il superfluo e l’essenziale: la donna «nella sua miseria» ha rivelato il dono di sé, preannunciando il dono di Cristo. Forse fatichiamo a riconoscerci miseri davanti al Signore, cioè bisognosi di Lui, per cui siamo più disposti a dargli gli avanzi a patto che Lui riconosca il nostro dono, rivestito però di inganno e di ostentazione. Abbiamo ancora molto di cui spogliarci perché il rapporto che abbiamo con Dio e quello che viviamo con gli altri sia più autentico, essenziale, buono. Abbiamo creduto troppo alle nostre onnipotenze e poco alle vere relazioni dando «parte del superfluo» (super-fluere; ciò che sta sulla superficie).