XXX domenica T.O.; 29.10.’14
L'AMORE AL PROSSIMO PER SCOPRIRE L'AMORE DI DIO IN LUI
Amare e farsi amare
Se la legge dell’amore è la libertà, suo fondamento è il dono: sì, nessuno crea l’amore ex novo, ma ciascuno riceve segni di amore in cui riconoscersi amato. Tutti sappiamo che l’amore ha infinte forme di declinazione, dalla conoscenza alla stima, dal rispetto all’affetto, dall’intimità alla sessualità. Eppure in ogni sua forma è sempre un dono fatto agli altri o un dono che riceviamo dagli altri: ci meravigliamo quando siamo amati e ci chiediamo il perché, ma ci stupiamo anche quando incontriamo qualcuno da amare e ci interroghiamo su come poter amare. Qui ci si accorge che l’amore fa i conti con quello che siamo, così come ci trova, con la storia che ci ha formati: delusi da qualcuno, risollevati da qualcun altro. Ma in ogni caso l’amore (e ogni forma di amore) chiede sempre di lasciarsi lavorare dall’amore stesso perché quando amiamo non siamo mai gli stessi di prima e quando ci sentiamo amati anche la nostra vita assume un’altra direzione, quella della profondità e dell’interiorità. L’amore, quando ci incontra, chiede anzitutto di fare i conti con se stessi perché cuore, per cui «ama il prossimo tuo come te stesso», per poi comprendere che «amare Dio sopra ogni cosa» altro non significa che «amare il vicino, il prossimo». Ma questo amore ha una caratteristica: il donarsi. Non esiste amore dentro le maglie del possesso, fosse anche un possesso di dipendenza: l’altro, il vicino, l’amico, l’innamorato non deve dipendere da me, ma perché vi sia vero amore è necessario che sia liberante, se libera cioè la persona amata, se apre per lei nuovi spazi di una libertà fino allora non conosciuta.
Il secondo comandamento specchio del primo
Ma dobbiamo anche dirci che amare è anche un impegno, forsanche un’impresa pericolosa, non sappiamo dove potrà condurci eppure la nostra vita ne viene stravolta: a volte ci sentiremo feriti, a volte incompresi, a volte ripagati, a volte smarcati. Amare impegna il cuore, ma anche la mente, la profondità, «cuore, mente, anima» fino a stravolgere tutto, ogni certezza e ogni potenza personale: solo quando ci si sente vulnerati, feriti dall’amore solo allora si potrà iniziare a capire che l’amore ci ha raggiunti. «E il secondo è questo»: Gesù non è stato interrogato su quanti siano i comandamenti ma solo su quello principale, l’unico, quello dello Shemà Israel (Ascolta Israele). Eppure Gesù compie una rivoluzione: anche solo il comandamento su Dio «Amerai il Signore tuo Dio» se resta isolato diventa un amore idolatrico. Amare Dio non significa poi essere uomini e donne che non ritornano a questo amore; amare Dio non significa poi diventare libertini e sentirsi autorizzati a dire e fare tutto su tutti; amare Dio non è sentirsi con l’anima a posto e poi neppure rivolgere uno sguardo all’altro. Amare Dio è diventare inquieti: amare Dio è tale solo se ami il fratello e in lui ami Dio che è presente nel suo cuore, nella sua vita.
Amare non è vedere il vero volto dell’altro
L’idolatria è il grande peccato contro Dio e la cartina di tornasole del vero amore per Dio è l’amore, l’apertura, lo sguardo verso l’altro: Dio e il fratello sono per Gesù inscindibili: amare uno senza l’altro è come vivere un amore a metà, falso, egoista, interessato. E’ il capovolgimento dell’amore che Gesù porta: così come Dio Padre ha dato se stesso in Lui.