XVIII domenica T.O.; 03.08.’14

ATTRAVERSARE IL NUOVO: INATTESA CHE GENERA SOFFERENZA E COMMOZIONE

attraversare il nuovoLo stile cristiano: ritirarsi e provare commozione

Quando facciamo esperienza del nuovo, due sono i grandi atteggiamenti che colpiscono la nostra interiorità: anzitutto la riflessione come vaglio e prudenza, da una parte e l’emozione del cuore, dall’altra. Entrare dentro noi stessi è un vero e proprio ritirarsi, nascondersi dalle opinioni, non lasciarsi subito coinvolgere dal parere altrui, dal “io farei così”: il nuovo ci tocca e ci interpella, si avvicina e attende una risposta. Così Gesù si ritira (anechóresen) in sé e lontano dagli altri: ha ricevuto la notizia della morte di Giovanni il Battista, cugino, amico e maestro; deve comprendere la volontà di Dio e piangere la sua fatica che, da lì a poco, incrocerà quella della gente. E così la sua sofferenza diventa commozione (splanchnízomai), vero piangere con chi piange. Ed è l’esperienza di tutti: ogni forma di sofferenza genera un allontanamento, una distanza, ma rende cuore e mente più sensibili, più attente della sofferenza altrui. Ascoltare chi soffre significa soffrire con lui, non giudicarlo ma amarlo, non accusarlo ma sostenerlo, per generare in chi soffre quel nuovo che rende nuovi anche se stessi. Nessuno può mai comprendere la sofferenza di un altro, ma quando la vede, la tocca, lo penetra, allora proprio lì deve generare una nuova novità: alzò gli occhi al cielo, recitò la preghiera, tutti mangiarono.

Terra, deserto, mare: attraversare la propria vita

Partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto: credo non via qualcosa di meraviglioso quanto l’immagine di Gesù che passa dalla terra di Nazareth, al mare sulla barca, per dirigersi verso il deserto e, infine, trovare una grande moltitudine di gente attenderlo sulla riva tra terra e mare. Gesù è un uomo che attraversa e calpesta la terra: le passa dentro per passarle sopra e andare oltre; così solca il mare di Galilea, attraversandolo e scivolando sulle sue onde. E’ questo suo attraversare che deve diventare il nostro dirigerci-verso: quante volte passiamo oltre noi stessi quando non ci prendiamo sul serio? Quante volte andiamo oltre l’altro per non prenderlo sul serio? Non è un impegno: ma uno stile! Gesù provoca i suoi dicendo date loro da mangiare: è la comunità dei suoi amici che deve essere ministra di attenzione, ascolto, servizio e comunione. Sono i suoi a distribuire la presenza di Cristo nella vita di chi attende anche solo una parola da bene, un gesto di umanità. Se Cristo attraversa la sua vita e chiede ai suoi amici di attraversare quella altrui, noi chi siamo quando non attraversiamo la storia degli altri? Quando non volgiamo ascoltarla? Quando non vogliamo conoscerla?

L’essenziale per una moltitudine

Siamo discepoli ma spesso viviamo come separati dal maestro, eppure nulla ci deve separare da Cristo, grida Paolo e Isaia canta la gioia del banchetto e dell’invito di Dio venite, ascoltate e mangiate. Qual è il miracolo se non la moltiplicazione dell’amore di Cristo in noi? Una Comunità di discepoli che crede che solo condividendo il poco che ciascuno ha, non solo può rendere, ma vedrà avanzarne dodici ceste piene. Per altri.