XV domenica Tempo Ordinario – 13.07.’14
Abitare il tempo quotidiano: io sono il mio terreno
Il quotidiano: il terreno che io sono
L’uomo saggio è colui che prende del tempo per se stesso, si ferma e cerca di fare i conti con ciò che è: l’unica domanda che può aprire la sua riflessione è quella del “a che punto sono?”. Così è per ciascuno di noi che vuole conoscere a che punto sia la sua vita, quale terreno è o in quale terreno si è trasformato, una strada, uno sassoso, uno non molto profondo, uno intrecciato di rovi, fino alla presa di coscienza di essere anche terreno buono che frutta secondo la sua misura. Solo così, in quella domanda, ciascuno di noi inizia il suo esodo dentro di sé, si conosce, si ama per le cose belle, si rammarica di quelle vissute male: e così cerchiamo motivazioni o ragioni per cui alcune cose abbiano funzionato, altre meno, altre ancora hanno deluso o fatto crollare, altre sollevato e fatto crescere. Insomma io sono il terreno della mia vita, terreno che aro non da solo ma con altri di cui decido di ascoltare la parola o seguire gli esempi perché la mia vita prende forma solo in mezzo agli altri; ma a volte questo mio stesso terreno scelgo di ararlo mettendomi a una certa distanza, senza ascoltare, senza guardare e, diventato insensibile, duro d’orecchio, fino a non ascoltare e non comprendere con il cuore e non convertirmi. Gesù che porta la sua provocazione: è il seminatore che esce a seminare, indipendentemente dal terreno. Ma anche Gesù, in questo discorso dice il suo fallimento, la sua fatica, la sua angoscia perché la sua Parola – quella che esce dal Padre – a volte trova in noi un terreno non-possibile.
Gesù e il suo fallimento: i sassi, i rovi. La terra arida
E’ sconcertante pensare che Gesù possa fallire, eppure credo che la parabola del Seminatore ci conduca all’esperienza personale di Cristo e, attraverso dei momenti e dei movimenti, rende visibile l’agire stesso del Padre. Perché il fallimento di Gesù? Forse che abbia perso la sua azione divina di far crescere dove nessuno ha seminato? Che sia incapace di trasformare in terra feconda il suolo arido, sassoso, colmo di rovi e sterpaglie? Non credo. Credo che il fallimento di Gesù sia la sua esperienza umana sia non solo quella di non essere stato accolto, rifiutato, condannato da alcuni ma, ancor più, sia quella di incontrare nel suo camminare le vie della Galilea, uomini e donne dal cuore indurito. L’immagine di Dio in noi è la stessa libertà divina di amare e, se per Dio Padre il suo amore è sempre un uscire a seminare, per noi vi è anche la possibilità di scegliere e decidere di non amare, di non ascoltare, di non accogliere, di non mettersi in discussione. Solo così Gesù sperimenta il suo fallimento dentro il nostro fallire la propria umanità. Egli è uomo come noi e sente, percepisce e si addolora di un cuore indurito come il nostro. Ma si gloria e chiama beato perché i vostri occhi vedono e i vostri orecchi sentono.
Uscire e seminare
Quale stile è chiesto per essere un terreno fruttuoso? Uno solo: uscire è non implodere sulle proprie eterne verità, ma incontrare. Al primo si aggiunge il secondo: seminare, che è anche un lasciarsi seminare. Come la pioggia e la neve così è la Parola di Dio, ma potrà esserlo anche la nostra. La mia.