Venerdì Santo 17.04.’14
Gli occhi di Cristo dalla Croce: io dove pongo il mio sgurado?
Se i nostri piedi dicono i passi che solcano i sentieri e le strade della nostra quotidianità molto più i nostri occhi osano prepararne il cammino. Dall’alto del nostro sguardo siamo capaci di orientarci, guardare più in là, senza fermarci o sentirci arrivati. Possiamo voltarci e vedere ciò che sta dietro di noi, il cammino percorso, gli incontri vissuti; addirittura possiamo confrontare ciò che abbiamo lasciato con ciò che abbiamo raggiunto, trovato, conquistato. Gli occhi brillano quando si muove il cuore, ma anche si spalancano di fronte al pericolo; sono la lente di ingrandimento della nostra interiorità: dicono una fatica, rivelano una preoccupazione, comunicano una gioia. Ma quando a guardare con occhi struggenti è il Cristo dalla Croce, allora dobbiamo ammettere che incrociare quegli occhi diventa per ciascuno di noi occasione per attendere una parola di verità su di sé.
Quegli occhi straziati dalla sofferenza fisica e, ancor più dilaniati dal dolore struggente del tradimento, del rinnegamento, dell’abbandono, dicono la durezza del cuore dell’umanità che non ha riconosciuto il Messia, ma dicono ancora oggi l’insipienza e la superficialità con cui molti discepoli di Gesù vivono il loro essere in Cristo e di Cristo. Quanto ci vergogniamo di essere di Cristo? Quanto rinneghiamo nelle nostre scelte la nostra identità di discepoli? Quanto giustifichiamo le nostre contraddizioni morali e spirituali, patteggiandole con la fede in Lui?
Lui guarda me dalla Croce e io dove sto guardando? Egli, il Figlio di Dio ha ancora uno sguardo rivolto verso di me quando con voce flebile a stento dice Ecco la tua madre e la sua madre diventa madre di tutti e consegna la maternità divina alla nostra fragilità umana. E l’ultimo sguardo è rivolto al Padre, a cui consegno il mio spirito: il Padre, Padre suo e nostro dal quale non ha mai tolto lo sguardo né nelle tentazioni del deserto, né nell’agonia del Getzemani. Ora mi chiedo: come guardo il Cristo sulla Croce? Dove mi sono posto per vederlo meglio? Lontano, come un vigliacco? Vicino, perché di Lui innamorato?
Non poteva terminare in altro modo una vita spesa tutta nel dono di sé: la morte sulla Croce, la sofferenza cruenta, il disprezzo, gli insulti e gli sputi, la condanna e l’arresto dicono tutto l’amore che Dio ha per l’umanità, per ogni uomo e donna di ogni tempo e di ogni storia, per me.
Gli occhi dicono dove ho posto il mio sguardo: mi devo solo meravigliare, stupire e, forse commuovere, ogni volta che incrocio gli occhi di Gesù che mi guardano dalla Croce. Occhi che amano e che non giudicano; occhi che incoraggiano e sollevano. Ma oggi, quegli occhi, quello sguardo è velato, nascosto: desidera essere cercato perché solo incontrandosi ci si dona, ci si perdona.