Quarta settimana di Quaresima 30.03.14
Gesù e il cieco nato. Dio ci plasma e non ci lascia soli nelle tenebre
Il discepolo. Plasmato dalle tenebre alla luce
Ciascuno di noi entra nel mondo per il tempo che gli è dato, poi ne esce, come e quando non sa: ma come vive il suo stare nel mondo? Come si abita il tempo inframmezzo tra l’esserci e il non esserci più? Se la Legge degli Antichi chiede la sola osservanza per dirsi membri dell’Alleanza, Gesù chiede di vivere nella luce, cioè di essere figli, discepoli, amici suoi e della sua Parola. Colpisce allora l’affermazione di Gesù finché io sono nel mondo, io sono la luce del mondo, quasi a dire che il mondo – e quindi chi lo abita – abbia bisogno di luce o, perlomeno, che chi abita nel tempo inframmezzo non sempre lo vive come se stesse nella luce. Qualcuno vive nelle tenebre perché le sceglie e le abbraccia, altri vi incappano perché deboli, sbadati, superficiali, altri ancora le subiscono e non sanno che fare. Certo è che chi sta nelle tenebre non è discepolo, vive lontano dall’amore di Dio, non vede e si impregna di peccato: chi segue me, avrà la luce della vita, per cui – come afferma Agostino – “per avere ciò che Dio promette, prima devi seguirlo”. Perché ci ostiniamo a partecipare alle opere delle tenebre? Domanda san Paolo. Quale luce guardiamo? Da quale bagliore oggi scegliamo di farci illuminare?
La cecità e Cristo: Dio non ci abbandona al nostro buio
Essere discepoli non è mai stato facile: stare dietro al Signore significa scegliere Lui come unica luce del mondo, quando spesso ci si accontenta di luci flebili, saltuarie, illusorie, temporanee, appaganti. Ci si scalda alla luce della superficialità e della comodità che anche nella Chiesa ci rende solo osservanti più che discepoli. Ciechi negli occhi, diventiamo ciechi nello spirito e viviamo ripiegati su noi stessi, lontani da chi non vogliamo incontrare, pronti a mettere ombra sulla luce di altri, disposti a dire male di chi si trova nel bisogno, accusandolo e incolpandolo. Eppure il Cristo, in cammino verso Gerusalemme, verso la Croce, forma i suoi discepoli e vuole una Chiesa capace di essere strumento di Grazia. Egli, interrogato, si ferma: eppure il cieco non ha chiesto. Il gesto di Gesù è segno della Provvidenza divina – dirà Giovanni Damasceno, padre della Chiesa d’Oriente – per cui “Dio, che è creatore, si prende cura ciò che esiste”. E Dio si prende cura, va incontro, cerca, si ferma perché in lui saranno manifestate le opere di Dio. Solo, abbandonato, condannato, giudicato: un piccolo, come piccolo è Samuele scelto e unto da Dio, perché il Signore vede il cuore, cioè ciò che è illuminato dalla luce della fede, dello spirito.
Saliva e fango: una ri-creazione
Il miracolo di guarigione dice che Dio non vuole che l’uomo stia nelle tenebre: la prima opera della creazione è la luce “sia la luce”, e così ha inizio tutta la creazione, fino ad arrivare all’uomo: prese della terra, la plasmò. Ancora oggi Gesù plasma con la sua saliva e ri-crea ciò che le tenebre hanno rovinato. Sedotti dal peccato nessuno è più figlio; corrotti dalle tenebre nessuno è più capace di vivere rapporti nella luce; sprofondati nella miseria spirituale diveniamo accusatori e nessuno può essere innalzato se non perché il Signore lo ri-crea con la sua Grazia. Quella mano che ha formato l’uomo vuole ri-plasmare ciascuno di noi a immagine di Dio: ma dobbiamo andare a lavarci, scendere nelle acque della grazia, purificarci, vivere nella luce. Rialzarci. Seguirlo.