5.11.’17 – XXXI^ dom T.O.
IL FASCINO DELL’APPARIRE: IPOCRITI O CREDIBILI? IO TRA MASCHERA E VOLTO
dal Vangelo di Matteo (23,1-12)
In quel tempo Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
Introduzione
“Le apparenze contano, e tutti lo sappiamo, perché tutti comunichiamo tramite apparenze”. Così Barbara Carnevali, filosofa di questo nostro terzo millennio, afferma nei confronti di uno stile societario che ha esaltato alcuni tratti delle nostre relazioni. Oggi più che mai, infatti, il mondo ci percepisce non per quello che siamo realmente, ma anzitutto per come siamo, cioè da come ci muoviamo, da come parliamo, da come ci vestiamo, da chi frequentiamo. Così l’apparenza diventa da una parte un’opportunità per farsi conoscere e dall’altra senza farsi riconoscere. In fondo questa è l’arte del commediante, di colui che recita una parte, che sta sul palco facendo finta di essere un altro: e questo convince la platea, la entusiasma, la fa ridere, la commuove. Battono persino le mani. Insomma, colui che recita fa dire di sé quello che vuole che si dica di lui. Qui la parola giusta è proprio “ipocrita”, colui che recita, che finge, che fa credere altro, che inganna. E l’inganno più attuale che viviamo non è solo quello che tra dire e fare vi è un mare, ma che tra dire e fare troppi non desiderano essere riconosciuti per quello che sono ma per come appaiono. E la recita della vita va avanti, finzione su finzione, inganno su inganno, menzogna dopo menzogna perché vero è quanto dissero gli antichi che “abissum invocat abisum”, un male genera male. Ma il fascino di sé attira anche se stessi.
Il monito di Gesù
Gesù si pone come Colui che smaschera: togliere il velo che si ha sul volto e quello che copre il cuore, significa presentarsi per ciò che siamo, nudi e veri davanti a se stessi e agli altri. Nella relazione con Lui non ci può essere alcun inganno e nel servizio alla sua Parola non c’è posto per l’ipocrisia, la vanità e il primeggiare. «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere»: Gesù ha a cuore che ogni discepolo osservi e faccia, dica e si metta all’opera, ma non tollera un agire disonesto e interessato. «Scribi e farisei» rappresentano gli uomini della Scrittura e della Legge e ciò che stride nella vita di alcuni di loro (Gesù non fa di tutta un’erba un fascio) è la coerenza. La vita è distaccata dalla fede a tal punto che la fede non guida più la vita, ma solo un fare di apparenza, vuoto e per giunta scandaloso. Indica una vita più autorevole e più credibile, dove l’uomo è formato costantemente dall’equilibrio di una con l’altra
La credibilità
La prima testimonianza del discepolo è quella della credibilità: in ciascuno di noi non sempre tra dire e fare c’è grande equilibrio, poiché nessuno di noi è infallibile, tuttavia una quotidianità può spendersi di più nella direzione della credibilità. Essere credibili significa “ottenere credito”, cioè porre le condizioni perché un altro possa fidarsi di me, possa affidarsi a me. Sono quello che ora sono, non recito una parte, non imbroglio, non inganno, non ipnotizzo. Ed è in questa direzione che comprendiamo le parole di Gesù nel rapporto tra «grande e servo». La vera ed unica credibilità del discepolo è quella del servizio vero e non apparente.