31.12.2019 – 01.01.2020

IL TEMPO DICE CHI SIAMO: E' PREZIOSO PERCHE' PASSA INESORABILE

tempo clessidra

31 dicembre 2019 –Fine anno /A Lc 2,16-21
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Riflessione sul tempo che passa. Prendiamo a modello i pastori

Celebriamo il ringraziamento per la chiusura di un anno, un tempo lungo trascorso e che in un modo o nell’altro ha lasciato il suo segno nella nostra vita: per questo è importante che in questi prossimi giorni ciascuno di noi possa darsi tempo per sé per tracciare un bilancio di ciò che questo anno gli ha consegnato e fatto vivere. Un bilancio per aprirsi ad uno slancio differente verso il nuovo anno che si apre davanti a noi e che si sta caricando di promesse e di progetti. In fondo, augurarsi “buon anno” altro non significa che augurare il bene a chiunque incontriamo, un bene che poi ciascuno di noi è chiamato a vivere attraverso quella responsabilità che lo rende cittadino del mondo e della storia. Ed eccoci a fare una riflessione sul tempo trascorso, e per farlo prendiamo a modello i Pastori nel racconto natalizio di Luca: “[i pastori] andarono… trovarono…videro… riferirono”. I verbi che descrivono l’atteggiamento dei Pastori di fronte al Bambino di Betlemme mettono a fuoco il loro stare di fronte alla storia che stanno vivendo e, quindi, di fronte al tempo che li interpella in quel preciso momento. In fondo non possiamo dimenticare che il modo in cui viviamo il tempo noi diciamo chi siamo e riveliamo la qualità delle nostre relazioni, cioè di come ci poniamo di fronte alla storia, ai fatti, alle persone, alle situazioni e cosa diciamo di essi. È vero: lo abbiamo detto più volte, il tempo è un signore perché scorre restando fedele a se stesso e scandisce i momenti della nostra vita. La sua peculiarità è di essere costante, metodico, imperterrito, sempre uguale a se stesso, né frettoloso, né ansioso. Però noi lo abbiamo ammalato e ce ne accorgiamo perché a volte non abbiamo tempo (come se il tempo fosse nostro, esso invece ci sarà anche quando non ci saremo più noi); a volte siamo di fretta, schizzati e irrequieti per arrivare sempre in ritardo (come se il tempo migliorasse la sua qualità grazie alle molte cose che faccio contemporaneamente). Ma per vivere lo stile dei Pastori è necessario andare (che non è correre), trovare (che non è prendere al volo), vedere (che non è guardare velocemente), riferire (che è raccontare il particolare e non restare superficiali a ciò che ci accade). I Pastori ci insegnano a vivere il tempo in modo differente iniziando non da ciò che vorremmo domani o restando ancorati coi ceppi ai piedi per ciò che abbiamo vissuto ieri: questi uomini semplici ci insegnano a guardare e amare con cura il nostro oggi: è lì, proprio nell’oggi, che il tempo concentra le nostre attese e speranze per il domani, ma ci dà anche la chiave di lettura di ciò che abbiamo vissuto e che potevamo vivere diversamente. È proprio il modo di vivere il proprio oggi che noi diciamo la qualità delle nostre relazioni con gli altri, perché non possiamo nemmeno dimenticare che in tutte le nostre faccende abbiamo sempre a che fare con le persone. Giunge così, alla fine dell’anno, il tempo di fare un bilancio sulla qualità della propria vita e accorgersi che se siamo diventati frenetici, forse abbiamo bisogno di prenderci più cura di noi; se siamo diventati brontoloni, forse abbiamo bisogno di leggere i nostri rapporti con una speranza maggiore; se siamo diventati apatici, forse abbiamo bisogno di leggere il volto di chi ci sta accanto come prezioso e necessario; se siamo diventati pigri, forse è giunto il tempo di capire che dal nulla nasce solo il nulla. Ma se ci scopriamo più pazienti allora bisogna diffondere comprensione; se siamo diventati più capaci di ascolto, allora è tempo di diffondere parole buone; se siamo diventati più comprensivi con noi stessi, allora ecco portare consolazione e misericordia.

Ecco perché possiamo dire che la qualità della nostra vita dipende da come viviamo il nostro tempo. Dunque siamo certi di due cose: anzitutto che il nostro tempo passa e più passa, più si avvicina la nostra fine – e questo ci deve fare riflettere; ma è vero anche che Dio si è fatto visibile nel tempo e lo ha reso sacro, cioè differente, certamente vivibile, consegnandolo alla nostra responsabilità. Torniamo a fare come i pastori che “andarono… trovarono…videro… riferirono”. Un linguaggio evangelico che se ci impegniamo a viverlo diventerà anche un nostro stile evangelico. E chi ha tempo, non aspetti tempo, perché lui passa, va…eppure ci offre la possibilità di essere negligenti, superficiali oppure decisamente responsabili e maturi.

 

1 gennaio 2020 – Inizio anno /A Lc 2,16-21

Riflessione di inizio anno. Noi siamo la Benedizione di Dio per gli uomini

Siamo entrati già da diverse ora nel nuovo anno e in questa pochissima manciata di ore in molti ci siamo augurati un anno sereno e felice, un anno più fruttuoso, un anno nel quale vivere qualcosa di migliore, coscienti – però – che nulla può essere migliore se non si inizia ad essere migliori con se stessi. Perché le storie attorno a noi e che ci appartengono cambiano e prendono forma certamente quando il nuovo inizia da noi. Perciò l’augurio di questi giorni sarà quello di dare un buon saluto a chi incontriamo e chiedere per loro un buon anno sereno, felice, fecondo, augurando cose migliori.

Due sono gli atteggiamenti che vogliamo cogliere dalla Parola di Dio raccontata dal Vangelo di Luca nel suo racconto natalizio: il primo è lo stile di Maria e che ci viene ricordato anche in altri momenti della sua vita; il secondo è l’impegno di Maria e di Giuseppe a dare il nome al proprio figlio, secondo l’usanza e la Legge

Maria, di cui oggi celebriamo il suo titolo più grande di Madre di Dio, vive i fatti che avvengono sotto i suoi occhi e nella sua storia facendo syn-balleyn, cioè custodendo, tutto ciò che le accade con il suo fare di donna semplice, umile, essenziale – ma non per questo superficiale. Custodire è l’invito per ciascuno di noi oggi, per i prossimi giorni e per l’anno intero, fino a diventare uno stile di vita: custodire le meraviglie che ci accadono, le gioie che viviamo e che dovranno contagiare gli altri, le fatiche e gli imprevisti che non ci mancheranno, per imparare l’arte della prudenza e del coraggio; custodire le amarezze e le delusioni, perché non si trasformino in rancore, in cattiverie, in giudizi spietati. Custodire significa essere diventati sentinelle preziose di noi stessi, del nostro vivere perché è in questa storia che Dio ha scelto di parlarci, di visitarci, di incontrarci, di stare accanto a noi. Custodire le parole del bene che sono seminate in noi, torniamo a dire-bene di noi e di altri per essere veramente un segno di bene-dizione: pensiamo alle parole in famiglia, nella scuola, nel mondo del lavoro, nella chiesa, nella società, nelle aggregazioni, nella vita politica e amministrativa, tutti soggetti del nostro vivere quotidiano nei quali non vogliamo demonizzare le fatiche che ci attenderanno; ma nulla potrà cambiare se l’augurio che ci scambiamo e che ci doniamo in questi giorni non è il nostro stesso desiderio di fare qualcosa in prima persona lì dentro in quegli ambienti in cui viviamo.

Così diventiamo non solo augurio, ma anche benedizione, cioè uomini e donne capaci di dire-bene, di dare una vera parola buona di riflessione, di sprono, di coraggio, di condivisione a chi incontro sul mio cammino. Dopo tutto la benedizione di Dio sappiamo bene non è un’arte magica per la quale otteniamo da Lui favori interessati: Dio ci bene-dice ogni qualvolta può dire-bene di me, e così nello stesso modo io sono benedizione per altri nel momento in cui abbiamo da dare loro parole-buone per la loro vita. Ecco che alla fine comprendiamo che custodire significa imparare l’arte di chi costruisce la sua vita con uno stile di attenzione e di cura di sé – proprio come Maria – …perché all’inizio dell’anno ricordiamo bene che ogni promessa sarà possibile e reale solo se noi ne diventiamo la sua pre-messa.

Ed ecco il secondo atteggiamento: dare il nome. Lo aveva fatto anche Adamo, quando aveva dato il nome a tutti gli esseri viventi perché li sentisse suoi. Ma dare il nome significa soprattutto dire parole nuove, parole differenti, che sappiano educarci ad uno stile di vita decisamente più umana, più vivibile. E così mentre Maria e Giuseppe “gli misero il nome Gesù”, noi siamo chiamati a dare un nuovo nome alle nostre storie. È l’atto di benedizione che ciascuno di noi può e deve vivere verso ogni altro: noi diventiamo non solo augurio, ma anche benedizione, cioè uomini e donne capaci di dare una parola buona che possa far riflettere, spronare, sollevare, dare coraggio, accompagnare chi incontriamo sul nostro cammino. Dopo tutto la benedizione di Dio sappiamo bene non è un’arte magica per la quale otteniamo da Lui favori interessati: Dio mi bene-dice ogni qualvolta può dire-bene di me, e così nello stesso modo io sono benedizione per altri nel momento in cui abbiamo da dare loro parole-buone per la loro vita. Diamo il nome a ciò che ci accade e impariamo ad aiutare gli altri a dare il nome a ciò che accade. Non lasciamo solo nessuno, mai. A costo di diventare fastidiosi e inopportuni.