25.10.’20 – XXX^ dom TO /A
L’AMORE PER IL PROSSIMO E’ SPECCHIO DELL’AMORE CHE ABBIAMO PER DIO
dal Vangelo di Matteo (22,34-40)
In quel tempo i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Introduzione
Tutti sappiamo che l’amore ha infinte forme di declinazione: dalla conoscenza alla stima, dal rispetto all’affetto, dall’intimità alla sessualità. Eppure in ogni sua forma l’amore è sempre un dono fatto agli altri o un dono che riceviamo dagli altri: ci meravigliamo quando siamo amati e dovremmo sempre porci il perché, ma ci stupiamo anche quando incontriamo qualcuno da amare e ci interroghiamo su come poter amare. Qui ci accorgiamo che l’amore fa i conti con quello che siamo, con una storia che ci ha formati, con le esperienze vissute, coi fallimenti che portiamo dentro di noi: delusi da qualcuno, risollevati da qualcun altro. Ma in ogni caso l’amore (in ogni sua forma) chiede sempre di lasciarsi lavorare dall’amore stesso perché quando amiamo non siamo mai gli stessi di prima e quando ci sentiamo amati anche la nostra vita assume un’altra forma. Ecco perché l’amore, quando ci incontra, chiede di fare i conti con se stessi; ed e per questo che Gesù invita ad «amare il prossimo tuo come te stesso», sapendo che il prossimo è il mio immediatamente vicino, che vedo, che sento, di cui percepisco la storia per poi arrivare a capire che solo in quell’amore visibile, tangibile noi possiamo «amare Dio sopra ogni cosa». Fino a qui tutto pare comprensibile, ma c’è una domanda a cui dobbiamo rispondere: in un tempo così egoista e superficiale, dove si vive troppo del surrogato dell’amore, “sappiamo scegliere ciò che ci è veramente necessario?”
Il secondo comandamento specchio del primo
Dobbiamo dirci che amare è anche un impegno, forsanche un’impresa pericolosa, non sappiamo dove potrà condurci eppure la nostra vita ne viene stravolta: a volte ci sentiremo feriti, a volte incompresi, a volte ripagati, a volte smarcati. Amare impegna il cuore, ma anche la mente, la profondità, «cuore, mente, anima» fino a stravolgere tutto, ogni certezza e ogni potenza personale: solo quando ci si sente vulnerati dall’amore solo allora si potrà iniziare a capire che l’amore ci ha raggiunti. «E il secondo è questo»: Gesù non è stato interrogato su quanti siano i comandamenti ma solo su quello principale, l’unico, quello dello Shemà Israel (Ascolta Israele). Eppure Gesù compie una rivoluzione: anche solo il comandamento su Dio «Amerai il Signore tuo Dio» se resta isolato diventa un amore idolatrico. Amare Dio non significa poi essere uomini e donne che non ritornano a questo amore; amare Dio non significa poi diventare libertini e sentirsi autorizzati a dire e fare tutto ciò che si vuole; amare Dio non è sentirsi con l’anima a posto e poi neppure rivolgere uno sguardo all’altro. Amare Dio è diventare inquieti: amare il prossimo non è solo frutto della propria buona volontà ma è frutto di un amore divino; amare il prossimo è una dimensione teologica e non solo umana. E inoltre amare il prossimo come conseguenza dell’amore per Dio è perché l’amore per Dio non resti un amore isolato.
Amare non è vedere il vero volto dell’altro
L’idolatria è il grande peccato contro Dio e la cartina di tornasole del vero amore per Dio è l’amore, l’apertura, lo sguardo verso l’altro: Dio e il fratello sono per Gesù inscindibili e amare uno senza l’altro è come vivere un amore a metà, falso, egoista, interessato. E’ il capovolgimento dell’amore che Gesù porta: Dio, in Gesù, crede che l’uomo sia sempre capace di amare e capace di un amore vero e autentico. Non fingiamo di amare.