2 novembre – FEDELI DEFUNTI
La nostra storia e le nostre radici
L’autunno della vita
Nel tempo dell’autunno, quando la piante si spogliano delle loro foglie, i giorni si riempiono più di ombra che di luce; la nebbia e il freddo prendono il posto del sole e del calore; quando l’uomo si chiude di più in casa dentro il tepore della vita domestica, ecco la festa dei fedeli defunti. Un festa che pare curvarsi su di sé, dentro la sua nostalgia, dentro la memoria dei cari che ci hanno lasciato al punto tale che anche la nostra mente, il nostro cuore, il nostro spirito si carica di mestizia, di tristezza, di nostalgia perché chi era accanto a me ora non c’è più. Viene una stretta al cuore, ci si sente spaesati anche se non abbandonati: siamo come quelle foglie che vedono l’autunno degli altri, vediamo il loro cadere e scomparire nella terra fino alle radici della pianta. Ed è qui che fermiamo la nostra attenzione e la nostra riflessione: sulle radici!
Le radici, la nostra saldezza
Le radici dicono la nostra solidità, la nostra saldezza, quella interiore, quella che non si vede, quella che scende dentro di noi, ma che nello stesso tempo dice che siamo ben fondati nel terreno dove troviamo acqua e nutrimento per vivere. Il terreno della piena umanità, ma anche il terreno della vera profondità, quella dello spirito, quella che Gesù ha saputo mostrare: la solidità di un uomo che ha vissuto la sua storia in mezzo agli uomini fino alla Croce, fino al suo autunno, ma anche la saldezza col Padre in una comunione di obbedienza, fondata e nutrita dallo Spirito. In quella stessa terra, dove stanno le nostre radici che ci permettono di vivere, stanno i nostri cari: là sotto, in quella stessa terra, ci sono i nostri cari: il papà, la mamma, un fratello, una sorella, un figlio, un nonno, una nonna, un amico.
La memoria e il suo racconto
In quella terra c’è la nostra storia: la memoria di chi ci ha preceduto e che si è impegnato a vivere e testimoniare la fede e l’amore, ma anche la memoria di chi ha cercato nella sua fragilità di far trasparire la sua umanità, fino alla memoria di chi è stato uomo e donna di carità, di amore, di attenzione perché «ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dato da bere… nel bisogno mi avete soccorso». Ed ecco il racconto dei nostri cari: chi li ha conosciuti ora li deve raccontare e narrare alle nuove generazioni e la memoria diventa vivo ricordo e non più solo nostalgia. Essi sono la nostra storia e sono già stati vagliati dalla morte e ora attendono la risurrezione e la nostra preghiera di intercessione. La morte in Cristo non fa più paura: piuttosto chiediamoci come noi ora viviamo questa nostra vita. Un cristiano non dovrà mai avere paura della morte, pur conoscendone tutta la sua drammatica esperienza, perché conosce la risurrezione di Cristo: piuttosto dovrà avere timore di condurre una vita vergognosa, cattiva, chiusa ed egoista.