17.04.’16 – IV di Pasqua/C
ASCOLTARE E SEGUIRE DICONO CHI SIAMO E CHI VOGLIAMO ESSERE
dal vangelo di Giovanni (10,27-30)
Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola.
Introduzione
Ascoltare è impegnativo. Chiede attenzione e chiede tempo: chiede attenzione perché impone il rispetto dell’altro che mi parla o di una situazione che mi provoca; chiede tempo perché ascoltare non impegna solo le orecchie, ma anche il proprio modo di pensare, di essere, di agire. Viviamo in una società molto rumorosa, caotica, ascoltare diventa sempre più complesso di quanto pensiamo: sentiamo molto, ma ascoltiamo poco. I suoni sono sempre più confusi coi rumori e spesso anche il nostro linguaggio non distingue più neppure il suono dal rumore. A volte l’ascolto è già corrotto: chi parla è già sotto analisi e in chi ascolta si genera da una parte disponibilità, apertura, coinvolgimento, dall’altra sospetto, dubbio, pregiudizio. Ascoltare resta un atto che decentra l’attenzione su di noi e diventa l’atteggiamento di contemplazione dell’altro.
Solo l’ascolto genera la sequela
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono»: Gesù è chiaro che nessuno potrà essere suo discepolo, nessuno potrà seguirlo, nessuno mettersi dietro a Lui se non perché prima si è messo in ascolto di Lui; un ascolto che permette di conoscerlo, di sentire il suono della sua voce, di fidarsi di Lui, di affidarsi a Lui. Ascoltare significa anche fare i conti sia con le molte altre voce che ci stanno accanto, sia le diverse voci che stanno dentro ciascuno. E così ascoltare è anche un impegno, un lavoro della mente e del cuore che impegna il tempo, perché non basta una volta per farsi un’idea di chi parla. Ma ascoltare è anche una lotta: è sforzarsi di far entrare nel proprio corpo le parole, i suoi, i bisogni, i desideri, le richieste dell’altro. Ma solo dopo un ascolto vero, libero, donativo, nasce la sequela: nasce una relazione di fiducia, ci si frequenta, ci si cerca, ci si incontra, si segue l’altro. Perché le sue parole fanno-bene; fanno star-bene.
Seguire, voce del verbo “essere”
Seguire, lasciarsi fare dalle parole di un altro, misurarsi dentro la voce e le parole di un altro significa seguirlo, ma anche compromettersi con lui: si allarga, così, quella sequela fino a diventare uno con l’altro, conformandosi a lui, sforzandosi di generare in noi il suo stile. Si segue chi si ama, chi è stato in grado di generare fiducia, chi ha saputo darsi per fare dell’altro una persona importante, vera. E ancora cresce questo ascolto fino a diventare promessa di fedeltà, perché «nessuno le strapperà dalla mia mano». Nella metafora di Gesù riscopriamo la parola della fedeltà che non è solo parola di protezione, ma soprattutto parola dell’Amore, parola di chi non ci lascia soli. E quando seguiamo qualcuno a questo punto riveliamo chi siamo o, perlomeno, chi abbiamo deciso di essere intraprendendo un cammino già dentro di noi. Le nostre parole diranno chi abbiamo deciso di essere e i nostri gesti renderanno testimonianza di ciò che abbiamo voluto dire.