17.01.’19 – VI^ dom TO
DISCEPOLI OLTRE OGNI COMODITA’
dal vangelo di Luca (6,17.20-26)
In quel tempo, Gesù, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.
Introduzione
Oggi è complesso parlare di maestri e di discepoli non solo perché è difficile trovare veri maestri, ma soprattutto perché riconoscersi discepoli significa mettersi in ascolto di una parola differente dalla propria e sulla quale continuamente confrontarsi. L’esaltazione delle proprie autonome volontà oggi escono da questo modello così antico e così efficace per entrare invece in forme di isolamento: ognuno pensa per sé e ciascuno ritiene che la propria parola e il proprio pensiero sia il più giusto e il più corretto. Più che il dialogo fatto di ascolto e parola, frequente è lo scontro che mette più a fuoco la distanza e la differenza di opinione. Nonostante ciò abbiamo il dovere e forse l’urgenza di tornare a riconoscersi discepoli, cioè capaci di riconoscerci in una ideale alto che ci attira, che ci chiede di realizzarlo giorno per giorno, che ci sprona a confrontarci con esso. Oggi dobbiamo avere paura di una certa neutralità che sempre più ci sta avvolgendo: va bene tutto e va bene niente; faccio una cosa come anche trovare le ragioni per fare il suo diretto opposto. Certo: essere discepoli significa dare fiducia e fare spazio ad un altro.
Gesù maestro
«Gesù, si fermò in un luogo pianeggiante… alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva»: Gesù si pone in un vero atteggiamento di maestro, è il Rabbi che si prepara a dire una parola nuova, carica di verità e di speranza, capace di leggere la storia della gente, comprenderla, viverla, ma anche pronto ad elevarla. Ed ecco riconoscere la situazione della folla che lo seguiva come una situazione di beatitudine: «beati voi»; non è una parola a caso ma è rivolta ai presenti; non sono parole dette in generale ma dicono la situazione che è sotto gli occhi di tutti: la povertà, la fame, il pianto, la persecuzione. Il vero maestro è colui che osserva, guarda, scruta persone ed eventi e, nello stesso tempo, si lascia toccare da essi, non resta impassibile. Ed ecco nascere la parola «beato», che è una parola di affetto, di comprensione, di amorevolezza: il vero maestro dà parole di speranza volendo rimotivare la fatica e la delusione che sta nel cuore di chi ascolta. Ma questo impone a chi ascolta di stare sotto il verdetto di questa parola: e qui ci si riconosce discepoli di Gesù, amanti della sua voce e disposti a lasciarci fare dalla sua Parola. Una parola che ha anche il coraggio di dire ciò che non va, per cui «guai a voi» non nel senso di una minaccia, piuttosto in quello della prudenza e della verità.
Che discepoli siamo?
Vengono a noi alcune domande: ci riconosciamo discepoli di questa Parola o siamo solo ascoltatori smemorati? Sentiamo il bisogno di stare sotto la Parola di Gesù oppure siamo noi stessi a dare il verdetto su di noi? Siamo disposti a tornare ad essere discepoli di Gesù o siamo solo suoi ascoltatori occasionali? Siamo anche certi che la Parola di Gesù non ci rende discepoli comodi, poiché «uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome». Il timore più grande credo resti sempre il confronto con se stessi, a cui troppi abbiamo dato sempre ragione. Troppo comodi.