08.01.2017 – Battesimo di Gesù

FIGLI DI DIO E FIGLI DELL'UOMO

Battesimo dal vangelo di Matteo (3,13-17)
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.  Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Il Battesimo tra figliolanza e paternità

Al fiume Giordano si ripete ancora una volta (la terza per esattezza) la manifestazione di Gesù come Figlio di Dio: la prima nel natale a Betlemme, “per voi il segno, un bimbo in una mangiatoia”; la seconda ai Magi “è sorto per voi un astro in Oriente”, ed ora le parole dirette del Padre. Esse colpiscono subito, perché rivelano pubblicamente l’identità di quell’uomo che, in mezzo a tanti altri in fila sulle sponde del Giordano, è chiamato “Figlio” e “l’Amato” a cui la voce aggiunge “in lui mi sono compiaciuto”. Mi chiedo: oggi un padre e una madre possono ancora ripetere sui propri figli queste stesse parole? Un genitore, oggi, guardando la storia dei propri figli può dirsi soddisfatto? E dall’altra parte un figlio, guardando ciò che ha ricevuto è capace di dirsi vero custode di ciò che ha ricevuto? La festa del Battesimo di Gesù interpella la nostra duplice figliolanza, quella naturale e quella spirituale: entrambe accomunate dal fatto che sono decisamente passive. Nessuno, infatti, sceglie di nascere, ma si nasce per volontà di due genitori; nessun infante chiede il battesimo se non perché sono i genitori a fare a lui questo dono. All’origine di ogni nostra figliolanza, dunque, vi è una passività che è chiamata a diventare attiva: un figlio deve costruire nel tempo la sua relazione coi suoi genitori, così come ogni battezzato è chiamato per grazia a costruire nella quotidianità la sua relazione con Dio.

Figli perché dati

Da una parte oggi, con grande onestà e forse anche con un po’ di vergogna, dovremmo chiederci dove sia finito il nostro battesimo, o meglio che cosa ne abbiamo fatto di un sacramento che ci ha immersi nell’amore di Dio e ci ha chiesto di vivere una vita secondo lo spirito che Gesù stesso ha voluto ricevere su di sé. Forse non comprendiamo mai abbastanza che lo Spirito che scende e risposa su Gesù è lo stesso e medesimo Spirito che abbiamo ricevuto noi e che riceviamo ogni qualvolta lo invochiamo nella preghiera e nei sacramenti, ma anche nella carità e nella fraternità. Se lo Spirito ci rende fratelli perché ci ha resi figli, dovremmo chiederci ulteriormente come intendiamo la fraternità e la figliolanza spirituale. Dall’altra parte oggi dobbiamo guardare dentro le nostre case e partire dalla nostra esperienza di figli e di genitori dentro le nostre relazioni familiari, perché lì abbiamo la misura visibile di ciò che siamo e proprio lì ci accorgiamo di cosa intendiamo quando diciamo di essere figli di fronte ai genitori e genitori di fronte ai figli. Chiediamoci perché troppi legami tra genitori e figli e tra fratelli e sorelle si siano interrotti; non limitiamoci a cercare delle giustificazioni o a dare delle colpe…chiediamoci perché bistrattiamo la nostra identità di figli (e di fratelli). Oggi lo Spirito di Gesù che è in noi e che ci ha resi figli di Dio deve fare i conti con tutto ciò che ci tiene un po’ vicini e un po’ lontani da Lui: deve fare i conti con le nostre incostanze, con i nostri chiari di luna, con i nostri mal di pancia, con quello che ci gira per la testa al momento…e dentro queste fantasie pretendiamo persino di avere ragione o di alzare la voce perché non ci sentiamo capiti. Quanti genitori stanno zitti per evitare l’evitabile? Quanti genitori incassano umiliati e continuamente umiliandosi per una pace che spesso tarda a venire? Oppure quanti genitori ingessano la figliolanza dei propri figli imponendo in loro una sorta di allungamento della propria immagine o del proprio stile? E da qui dovrebbe partire una riflessione sulla fraternità (che non facciamo). Certo, non è tutto così: vi è anche una relazione tra figli e genitori che si completa nel tempo, che ha bisogno a volte di più tempo del previsto, C’è una relazione dove la bellezza reciproca e la soddisfazione degli uni per gli altri in una casa è motivo di gioia reciproca, di serenità, di crescita.

Io sono il compiacimento di un genitore (e di Dio)

Ci sentiamo dire le stesse parole rivolte a Gesù «in te ho posto il mio compiacimento»: la vita di ciascuno diventa la compiacenza di Dio, la vita dell’uomo è la visibilità umana di un Dio eterno. Noi siamo il corpo visibile del Dio invisibile. Capiamo che non si tratta di essere solamente bravi e buoni, ma molto di più: il Battesimo ci dice che siamo «Figlio…amato», cioè siamo membra di Dio, siamo i suoi occhi, le sue mani, il suo volto. Tuttavia viviamo in mezzo all’umanità, tra gli uomini, tra le fatiche e le fragilità e il peccato, eppure lo Spirito scende e rinnova perché l’uomo non dimentica di «stare in preghiera». Noi, come Gesù, siamo l’umanità di Dio.